Studio d'Arte di Lauro Papale


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Fabio Mari

Entrando a contatto con le opere qui presentate da Lauro Papale, il primo, urgente bisogno da me percepito è stato quello della ricerca di un “perché”: il perché di un titolo, “narrazioni”, e il perché di un'opera in particolare, sin da subito miccia di una lunga e inattesa riflessione, quale si è rivelata “?oûs”. A lungo mi sono ritrovato ad osservarla, incapace di scioglierne l'enigma, fino a giungere ad una prima, insperata conquista: quest'opera è il fil rouge di una sperimentazione, attraverso essa si estrinsecano le ragioni di una poetica, e non è forse un caso se lo spettatore può osservarla come elemento centrale dell'allestimento. La chiave è nel concetto stesso di “noûs”, ossia la ragione, il Demiurgo platonico e l'Uno plotiniano, il principio ordinatore che nelle opere di Lauro Papale diviene il “pentagono alato”, modulo che genera le composizioni e innerva le superfici, eterogenee per tecniche e materiali, dando vita alla narrazione.
Il seme dell'acero, dato naturale da cui prende avvio la riflessione, si ritrova, tanto nelle tele quanto nelle sculture, depurato dei suoi elementi costitutivi per divenire puro segno, impalcatura di una costruzione che approda sì all'astrazione, ma che col dato “reale” di partenza non smette mai di intessere relazioni concettuali. Natura che si fa segno, dunque, pur memore dei suoi caratteri distintivi; sintesi geometrica che, nel colore e nello spazio, si fa racconto, espressione della vitalità di un artista maturo come Lauro Papale.

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